Completare il Vangelo con la vita

Commento al Vangelo del 28 maggio 2017.

«Mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi» (At 1,9). Le parole tratte dagli Atti degli Apostoli, descrivono il mistero dell’Ascensione di Gesù al cielo che celebriamo in questa domenica, compiutosi, secondo il racconto di Luca, quaranta giorni dopo la Pasqua. I discepoli contemplano una scena particolare, una sorta di congedo, che non rappresenta un distacco, ma l’inizio di una presenza nuova. L’evangelista Matteo (28,16-20) non menziona questo evento in modo diretto, il suo Vangelo, infatti, termina con un finale che potremo definire “aperto” in cui gli undici discepoli si ritrovano su di un monte che il Maestro aveva loro indicato, in Galilea, dove la missione era incominciata. Come all’inizio Gesù di Nazareth annuncia le beatitudini su di un monte, così conferma, anche da risorto, l’importanza di accogliere il messaggio delle beatitudini per poter far esperienza di Lui, per incontrarlo. Quest’ultima parte della narrazione evangelica acquista quindi un significato del tutto speciale, tanto da essere stata considerata come la chiave per comprendere l’intero vangelo di Matteo. Nel posto prefissato sul monte, luogo in cui cielo e terra sembrano toccarsi, avviene l’incontro; gli undici lo vedono, si prostrano, ma al tempo stesso dubitano. Due reazioni contrapposte che denotano da una parte il riconoscimento del Maestro, dall’altra la difficoltà a fidarsi totalmente.

Il Risorto si rivela a loro innanzitutto come colui che ha ricevuto ogni potere dal Padre, divenendo Signore dell’universo. Se prima l’incontro con Gesù era condizionato dalle leggi del tempo e dello spazio, dopo la Pasqua e l’Ascensione ogni vincolo decade, ma la presenza del Risorto, il suo aiuto, la sua vicinanza non vengono meno. In forza di ciò gli undici sono chiamati a rendere discepoli tutti i popoli, tramite il battesimo e l’insegnamento. Il potere di Gesù è legato al suo rimanere con i suoi fino alla fine dei tempi, come egli stesso dichiara. È una promessa, una rassicurazione che deve spingere gli undici a trasmettere agli altri la gioia di seguire l’unico Maestro, con il battesimo, segno sacramentale dell’appartenenza a Cristo all’interno della comunità, la Chiesa nascente.

In secondo luogo compare l’indicazione a osservare tutto quello che Gesù ha insegnato, il cui nucleo fondamentale è racchiuso nel messaggio delle beatitudini. «Io sono con voi tutti i giorni», promette Gesù, confermando il suo essere «l’Emmanuele» atteso, il «Dio con noi». Il Risorto continua ad essere presente nella sua Chiesa, in coloro che si impegnano, come gli apostoli, a condividere la gioia del Vangelo.

Oggi noi ci sentiamo al posto di quegli uomini, capaci di slanci di fede straordinari, ma al tempo stesso soggetti a dubbi e a momenti di crisi, così umani e per questo così simili ad ognuno di noi. Scrive papa Francesco nella Evangelii Gaudium «in ogni caso, tutti siamo chiamati ad offrire agli altri la testimonianza esplicita dell’amore salvifico del Signore, che al di là delle nostre imperfezioni ci offre la sua vicinanza, la sua Parola, la sua forza, e dà senso alla nostra vita. Il tuo cuore sa che la vita non è la stessa senza di Lui, dunque quello che hai scoperto, quello che ti aiuta a vivere e che ti dà speranza, quello è ciò che devi comunicare agli altri. La nostra imperfezione non dev’essere una scusa; al contrario, la missione è uno stimolo costante per non adagiarsi nella mediocrità e per continuare a crescere». Il finale “aperto” del Vangelo viene completato allora dalla risposta che sapremo esprimere attraverso la nostra esistenza, segnata, ma non condizionata dall’esperienza del limite e destinata alla beatitudine.