Commento al Vangelo del 23 aprile 2017. «Ma come fai a credere alla risurrezione di Gesù?», ha chiesto un ragazzo alla sua mamma in questi giorni. Già: come facciamo a credere che il Signore è risorto? Noi siamo quelli che non lo hanno visto, eppure hanno creduto. E per questo il Signore ci dice che dobbiamo ritenerci beati. Non lo abbiamo visto con i nostri occhi, ma abbiamo creduto alla predicazione di quelli che lo hanno visto e toccato. La nostra fede, infatti, è ‘apostolica’, si fonda cioè sulle parole dei testimoni oculari, ai quali il Signore ha voluto presentarsi dopo la sua risurrezione. Essi hanno anche scritto i vangeli, proprio perché crediamo «che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiamo la vita nel suo nome» (cf. Gv 20,19-31). Oggi dobbiamo pensarci bene: qual è il fondamento della nostra fede? A molti verrebbe forse da dire: ‘sono cresciuto in una famiglia cristiana, mi hanno portato a Messa fin da piccolo…’; oppure: ‘m’è capitato d’essere cristiano, ma una religione vale l’altra, l’importante è esser buoni…’; oppure che ‘gli insegnamenti del vangelo mi piacciono: mi portano a fare delle cose buone, a non fare del male a nessuno…’. Non basta. C’è di più. Dietro alla tradizione della mia famiglia e della mia comunità, dietro agli insegnamenti buoni del vangelo c’è la persona del Figlio di Dio, il nostro Signore Gesù Cristo che è «morto sotto Ponzio Pilato e il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture», come ripetiamo ogni domenica professando la nostra fede. C’è dunque una persona che ha vissuto un fatto: Gesù di Nazaret, morto e sepolto, è stato visto vivo dai suoi amici. C’è una persona che pretende di essere il riferimento unico per la salvezza di tutti: Gesù risorto (e Gesù prima della risurrezione) non si pone come un saggio tra gli altri, ma come ‘il’ Signore.
La risurrezione di questo Gesù di Nazaret non l’ha vista nessuno mentre accadeva: se ne sono visti gli effetti, secondo l’ininterrotta testimonianza degli apostoli che ci ha raggiunto dopo due millenni, intatta nella sua freschezza. Ad questa testimonianza il Signore si è consegnato per farsi conoscere e riconoscere da tutti. Badiamo bene: di chi è questa testimonianza inziale? Chi erano gli apostoli? I racconti evangelici sono molto onesti: erano persone molto semplici, chiamate da Gesù a seguirlo. Lo hanno ascoltato, visto all’opera, accompagnato con entusiasmo. Lo hanno frainteso, lo hanno abbandonato quando è stato giustiziato, si sono rinchiusi nella paura di fare la sua stessa fine, stavano tornando alla loro vita di prima. Ma senza che se l’aspettassero si sono trovati davanti al loro Maestro che pensavano morto e sepolto. Nessuno di loro aveva capito. Nessuno di loro ci sperava, nella risurrezione. Solo Maria, la Madre, ci credeva. E questo incontro con Lui, di botto, ha cambiato la loro vita. Da paurosi a coraggiosi. Da delusi ad entusiasti. Da egoisti a persone disposte a lasciarsi arrestare, e ammazzare pur di non rinnegare il Signore. Perché i fatti non si possono rinnegare. Perché le persone che si amano non si possono tradire.
Il martirio dei primi cristiani è per noi un indizio importante. Non hanno certo dato la vita per una idea, ma per una persona dalla quale si sono sentiti amati e perdonati, per quel Gesù che (hanno capito poi) s’era lasciato inchiodare su quella croce e si era lasciato metter nella tomba per donare loro la vita. E così tutti i martiri della storia, anche della nostra storia di questi giorni, ci dicono che il legame con il Signore è l’unico che resiste alla morte, ci tira fuori dalla inesorabile esperienza della tomba. Ma non si tratta semplicemente della morte del nostro corpo. Si tratta, anche e soprattutto, del fatto che il Risorto vince la «seconda morte», che è il peccato, e cioè l’incapacità di amare, la scelta di non amare, la divisione, la guerra. Ci testimoniano (gli apostoli e i martiri) che l’unica fonte di una pace vera è Gesù di Nazaret, il Cristo, il Figlio di Dio che con insistenza, appena risorto, dice ai suoi: «Pace a voi». Significa che il primo e principale dono del Risorto è un rapporto riconciliato con il Padre. Non dice «vita a voi», ma «Pace a voi». La vita ha senso solo come comunione con Dio e con gli altri, una comunione che comprende il perdono di ciò che la ostacola e soprattutto che mette in condizione di potersi amare nella piena espressione delle proprie ricchezze personali.