Commento al Vangelo del 12 marzo 2017.
La seconda domenica del cammino quaresimale è illuminata dalla luce della trasfigurazione di Gesù (Mt 17,1-9). Il Signore offre a tre dei suoi apostoli una esperienza molto particolare, descritta in modo molto simile dagli evangelisti sinottici. Una visione incredibile, che nemmeno dopo la risurrezione di Gesù avrebbero sperimentato così. Bisogna aspettare la propria morte per vedere Gesù come l’han visto Pietro, Giacomo e Giovanni sul monte.
Il fatto avviene in un momento di svolta nel cammino di Gesù. Dopo aver provocato la prima professione di Pietro (16,16), Gesù inizia a parlare di che cosa gli sarebbe successo a Gerusalemme, dove doveva andare (16,21), e mette bene le carte sul tavolo per chi vuole andare liberamente dietro a lui per salvare la propria vita (16,24ss). È proprio qui che il Signore prende quei tre, se li porta in disparte sul monte e cambia forma davanti a loro. Che cosa han visto? Le parole umane non riescono a descriverlo se non per simboli: il volto brilla come il sole; le vesti sono candide come la luce. Parole che alludono alla gloria, alla bellezza sovrumana di Dio. Una bellezza impressionante, quella di Gesù nella sua natura divina, nella sua gloria, nella sua potenza. Una bellezza che è pallidamente rappresentata dalle bellezze pur stupende della creazione.
In quei pochi istanti, il Figlio di Dio ha mostrato il suo vero volto, il suo volto ‘ordinario’, la sua identità di sempre. Lo dichiara il Padre, solennemente, con le stesse parole udite al momento del battesimo di Gesù: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento» (16,5). E si capisce che quella bellezza ha a che fare con l’amore spropositato del Padre verso il Figlio. Il Figlio suo. Il Figlio amato. E, come se non bastasse, il Figlio in cui il Padre ha posto il suo compiacimento. La bellezza di questo amore appassionato, infinito, perfetto è un mistero che la nostra intelligenza non riesce ad esplorare completamente. Perché noi facciamo, per ora, l’esperienza di un amore sempre gravato dal limite. E invece nell’amore trinitario non c’è limite, non c’è riserva, non c’è nulla di non comunicato, di non conosciuto, di non amato. L’immagine strana della nube luminosa che li coprì con la sua ombra segnala questo svelarsi di un mistero non comprensibile, ma donato a Pietro, Giacomo e Giovanni, e tramite loro a tutti i discepoli. Non si può comprendere, ma si può contemplare. Si deve contemplare, perché in quella nube, in quel volto luminoso si nasconde il Padre che attraverso il Figlio vuole tirar dentro tutti gli uomini nella sua bellezza, nell’esperienza del suo amore senza riserve. Per questo il Padre dice con autorità: «Ascoltatelo!». Gesù è in persona la Parola gloriosa, vera, bella del Padre. Solo rivolgendoci a Lui possiamo cogliere il senso della nostra esistenza come cammino nell’amore; e possiamo avere la forza di percorrere questo cammino.
La posta in gioco è altissima. Ed è drammatico il contrasto tra la verità/bellezza di Gesù e la pochezza dei discepoli e il peccato che sfigura il volto degli uomini. Gesù sa che per rendersi affidabile, per convincerci ad ascoltarlo, c’è solo una via: è l’immersione, per amore, nell’abisso del peccato e della morte, che prepara la vittoria della vita risorta. È vero: noi ascoltiamo solo chi è disposto a dare la vita per noi.
Nelle Messe di oggi, il Lezionario viene portato all’inizio della celebrazione confezionato come un regalo, per cogliere la preziosità della Parola.
Durante la settimana, teniamo bene in vista la Bibbia nelle nostre case, magari sul comodino, pronti ad ‘ascoltarla’ ogni giorno