Sei l’uomo ricco o il povero Lazzaro?

Commento al Vangelo del 25 settembre 2016.

Ancora sulla povertà?! Un’altra splendida e geniale parabola sulla povertà ci è raccontata da Gesù (Lc 16,19-31). Evidentemente, la faccenda dell’uso egoistico dei beni sta particolarmente a cuore al Signore. Siamo invitati ad immedesimarci nei personaggi, che sono brevemente tratteggiati dall’evangelista.

Chi siamo noi? Forse siamo (o vorremmo essere) come quell’uomo ricco, che se la gode splendidamente. Cerca e veste abiti preziosi, alla moda, di marca. Indubbiamente la moda, lo sfarzo, la vita comoda e bella erano in voga anche ai tempi di Gesù. Anzi, anche molto tempo prima: il profeta Amos (che sentiamo nella prima lettura di oggi: Am 6,1.4-7) sembra fare uno spietato, ironico ritratto dei nostri giorni. Gente spensierata, che si considera sicura nella seconda casa in montagna (allora in Samaria), che se la spassa al suono della musica, che tracanna vini raffinati, che sfoggia il profumo più costoso…  Gente, soprattutto, che se ne sbatte ‘della rovina di Giuseppe’, vale a dire del popolo di Israele (di cui Giuseppe è un patriarca). Se ne frega delle ingiustizie, delle violenze, delle oppressioni. Forse siamo come quell’uomo ricco.

Chi siamo noi? In realtà, nel profondo del nostro essere, noi siamo come quel povero chiamato Lazzaro. Abbiamo anzitutto un nome, una identità: siamo fatti per essere chiamati per nome. E siamo poveri, siamo mendicanti. Ricordiamo quando eravamo bambini. Vediamo come siamo messi quando siamo anziani. Bisognosi di tutto. Siamo mendicanti perché siamo poveri. Abbiamo bisogno di tutto, e tutto ci viene donato. Abbiamo l’illusione di guadagnarci le cose, ma questo è vero solo in parte, e per le cose meno importanti, anche se sono quelle che spesso ci solleticano e ci rassicurano di più (la posizione sociale, il conto in banca, le divertissement). Pensiamoci bene. Qualcuno si è guadagnato la vita, il cuore che batte e i polmoni che respirano, il sole e la pioggia, la madre terra che produce il nostro sostentamento? Qualcuno si è guadagnato l’affetto e la premura della mamma e del papà? Qualcuno può pagare l’amore degli amici, dei figli, degli sposi, dei fratelli? Ancora, qualcuno può pagare il perdono e la saggezza, l’accoglienza e la stima di cui abbiamo assoluto bisogno? E infine, qualcuno può guadagnarsi una vita oltre la morte, un amore che non finisce nella tomba? Sì, siamo poveri, siamo mendicanti. Se qualcuno non ci desse queste cose gratuitamente, noi semplicemente non esisteremmo. Dovremmo rimettere decisamente a fuoco ogni mattina questa considerazione di noi stessi: bisognosi di tutto, perché non abbiamo in noi stessi la vita, ma ci è donata gratuitamente. Ci è maestro Gesù: «da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2Cor 8,9)… Siamo mendicanti alla sua mensa, da cui non cadono solo briciole, ma l’abbondanza del suo cibo e della sua Parola di verità, la sua Presenza d’amore infinita!

Dunque? Qual è stato l’errore di quell’uomo ricco? Qual è il nostro errore? Di non considerarci poveri, e quindi di chiudere gli occhi sui poveri. Anche chi è povero materialmente può essere incapace di guardare agli altri come poveri, come li guarda Gesù. Anche chi è povero potrebbe essere affannato dal desiderio di partecipare alla ‘orgia dei dissoluti’ di cui parla Amos. Gesù invita invece ad accorgersi di chi c’è sotto la tavola, invita a condividere la ricchezza che gratuitamente si è ricevuta, a desiderare (come ha fatto Lui e come fa continuamente il Padre) la felicità per gli altri. Perché si è felici solo insieme, solo tutti insieme.

Non capiremmo questo se non fosse rivelato un altro punto importantissimo, pur se largamente trascurato nella nostra mentalità: ci sarà una retribuzione. Le nostre scelte hanno un valore infinito, che va oltre il presente. E questo perché la nostra vita non è solo il presente, ma è la preparazione, quasi la gestazione della vita definitiva. È il futuro che illumina il presente! Abbiamo deciso di stare ‘nel seno di Abramo’, cioè nella comunione con i fratelli, oppure di stare ‘in mezzo ai tormenti’, cioè nella ‘sofferenza di non essere più capaci di amare’ (F. Dostoevskij)?