Commento al Vangelo del 3 luglio 2016.
Dalla sequela alla missione. Nelle ultime domeniche, il vangelo ci ha aiutato a rimettere a fuoco l’identità di Gesù (il Cristo che salva nella morte e nella risurrezione) e a riconsiderare l’identità dei discepoli (quelli che rinnegano se stessi e si mettono a seguire Gesù in povertà e libertà). Gesù, che è partito decisamente verso Gerusalemme, non tarda a coinvolgere i suoi nella missione (Lc 10,1-12.17-20). Ne sceglie settantadue e li invia ad annunciare il Regno. Anche questo invio missionario è carico di sconcertante radicalità. Della radicalità che Gesù in prima persona vive.
Gesù infatti è totalmente obbediente al Padre, vive in povertà, interessato solo a servire il «padrone della messe» e ad annunciare il Regno (che è lui stesso…), pronto ad andare fin tra le fauci dei lupi. E questo è ciò che lui chiede ai settantadue (nei quali possiamo tranquillamente riconoscerci). Chiede di essere in comunione con il Padre («pregate il padrone della messe»), di prepararsi a rimanere semplici e miti (come agnelli) anche in mezzo ai malvagi che non li accoglieranno, di non avere un bagaglio pesante per essere totalmente liberi. Chiede di non sentirsi autosufficienti, di lasciarsi amare e accogliere dagli altri, nelle case e nelle città. Chiede loro di essere molto decisi e determinati, di amare gli altri anche quando bisogna cantarle chiare e scuotere la polvere dai piedi.
E ancora, fatto estremamente importante, dà loro «il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico»: quel serpente antico che da sempre suggerisce ad Adamo ed Eva di non fidarsi di Dio ora può essere schiacciato da loro, amici della discendenza della donna (cf. Gen 3,15).
Uno stile esigente ma estremamente affascinante. Lo può vivere chi si sente amato radicalmente dal Padre, chi capisce e accetta di essere abbandonato a lui perché ha tutto da lui. Come Gesù. A noi forse sembra di essere molto molto distanti da questa prospettiva di vita. Ci sembra forse una cosa utopica, che Gesù propone come ideale realizzabile da pochi eletti e generosi. Ci sembra forse che sia meglio essere prudenti e proteggerci e che non si può fare a meno delle assicurazioni sulla vita. Ci sembra che sia bella la missione, ma solo pochi coraggiosi possano vivere una radicalità del genere…
Non c’è dubbio, d’altra parte, che Gesù abbia vissuto questo stile e che lo abbia proposto ai suoi discepoli. E non c’è dubbio che Gesù sia una persona seria, che non dice una cosa per un’altra. E allora dobbiamo metterci in cammino. Decisamente. E verificare alcune cose, in un bell’esame di coscienza.
La prima cosa da verificare è se siamo stati conquistati da Gesù. E se lo abbiamo lasciato entrare nella nostra vita. Se è lui il nostro Signore o se siamo ancora noi i padroni di noi stessi, oppure, peggio, se ci lasciamo dominare dal denaro o dalle cose o da altre persone.
Poi bisogna verificare se ci stiamo appassionando del Regno di Dio, se possiamo allargare sempre più la capacità di interpretare la nostra vita (di famiglia, di lavoro, di amicizie…) come luogo in cui si afferma il Regno di Dio. Essere missionari di Gesù, talvolta, pare essere una cosa da vivere in qualche particolare momento di eccezionale generosità, mentre il trantran del nostro quotidiano è normale che non abbia a che fare con il Regno… Possiamo vedere in particolare se e come la gestione dei nostri rapporti può essere più ispirata alle cose di Dio; se e come possiamo diminuire gli spazi e i tempi della superficialità.
Ancora, possiamo continuare a diventare liberi dalle cose, dalle nostre borse o scarpe firmate, puntando di giorno in giorno sempre di più all’essenziale e a un uso sensato delle cose che abbiamo, in funzione dell’amore.
E possiamo verificare quanto siamo disposti a lasciarsi accogliere dagli altri, a lasciarci amare, a smetterla di ritenerci autosufficienti e a considerare che tutto quel che abbiamo è un dono, pur se ci mettiamo la durezza del nostro lavoro.
Infine, possiamo interrogarci su come e quanto siamo convinti che davvero il Signore è con noi nella lotta contro i demòni, e che davvero, nella comunione con Lui noi possiamo riconoscere e sconfiggere il male e colui che lo suggerisce al nostro cuore. Pensare che egli non esista sarebbe forse la tentazione più grande, come pensare che il male dipenda solo da lui e non dalla nostra libertà usata male.