Verso il rinnovo dei Consigli Parrocchiali 3

Nel mese di maggio, come da programma pastorale, verranno rinnovati il Consiglio Pastorale Parrocchiale e il Consiglio Parrocchiale per gli Affari Economici. Si tratta di due importantissimi organismi di partecipazione, nei quali prende corpo la corresponsabilità del discernimento sulla vita della Comunità parrocchiale. Le tappe del rinnovo sono le seguenti:

– 7/8 maggio: tutti i parrocchiani possono indicare in una apposita scheda i nomi dei candidati

– 21/22 maggio: dopo aver verificato le disponibilità, le liste dei candidati vengono affisse in chiesa

– 28/29 maggio: si eleggono, in un contesto di preghiera liturgica, i membri dei Consigli parrocchiali.

Per prepararci a questo importante momento di vita comunitaria, pubblichiamo una interessante riflessione di Carlo Maria Martini sul ‘Consigliare’.

Il Consigliare nella Chiesa

Cos’è il dono del consiglio?  Per san Tommaso è il dono corrispondente alla virtù della prudenza, è la prudenza mossa da una grazia particolare dello Spirito Santo, ed è il dono di percepire ciò che va fatto per raggiungere un fine soprannaturale.

È interessante notare l’affermazione di san Tommaso, secondo la quale la capacità di consigliare, mossa dallo Spirito come dono, rimane anche nella vita eterna. Per questo, egli vede possibile la richiesta, nella preghiera, dei consigli dei santi. Suggerisco di entrare in colloquio con i santi per farci aiutare in tante nostre necessità. Per la dottrina tomista, coloro che godono ormai della visione beata di Dio continuano ad avere il dono del consiglio e ci illuminano quando siamo in difficoltà.

Ma c’è di più: «La mente dell’uomo pellegrino su questa terra è mossa da Dio nell’agire, per il fatto che l’ansietà del dubbio che precede la decisione viene calmata», «per hoc quod sedatur anxietas dubitationis in eis praecedens». Quando siamo confrontati con decisioni ardue, e ci sembra di annegare in un mare di buoni consigli, diversi l’uno dall’altro; se è avvenuta una ragionevole inquisizione e un ragionevole ascolto, interviene il dono dello Spirito Santo che calma l’ansietà e permette di decidere con pace. È molto confortante questo passo di san Tommaso.

Un’altra annotazione. San Tommaso, nella sua trattazione molto schematica, quasi geometrica, dopo aver parlato delle virtù cardinali e dopo aver attribuito a ogni virtù un dono dello Spirito Santo, cerca di far corrispondere alle virtù e ai doni, le beatitudini evangeliche. Non c’è dunque soluzione di continuità tra la ragionevolezza morale delle quattro virtù cardinali, i sette doni dello Spirito Santo e le beatitudini evangeliche; piuttosto, sono innestati gli uni sulle altre.

Con mia sorpresa, la beatitudine corrispondente al dono del consiglio è la misericordia, in quanto le opere di misericordia sono particolarmente indirizzate al fine della salvezza: «convenit dono consilii, non sicut elidenti, sed sicut dirigenti». Poiché la virtù della prudenza e il dono del consiglio intuiscono il rapporto tra i mezzi di salvezza e il fine, la quinta beatitudine evangelica è la più attinente ad essi.

Dal pensiero di san Tommaso traiamo due conseguenze:

– prima: che effettivamente il dono del consigliare nella chiesa deve essere anzitutto attento ai poveri, alle opere di misericordia.

– seconda: che il consigliare stesso è opera di misericordia, di compassione, di bontà, di benignità; non è opera di fredda intelligenza, di intuizione molto elaborata, ma fa parte della comprensione del cuore.

Infine il discernimento. C’è un collegamento tra il discernimento e l’arte del consigliare?

Che cos’è il discernimento? San Tommaso cita in proposito una frase di Agostino molto bella e difficile da tradurre in italiano: «Prudentia est amor bene discernens ea quibus adiuvatur ad tendendum in Deum ab his quibus impediri potest», «la prudenza è l’amore che fa discernere bene le cose dalle quali siamo aiutati a tendere a Dio, contraddistinguendole da quelle che ce lo impediscono».

Il discernimento ha la caratteristica di aggiungere la sensibilità per le cose che possono impedire il fine, mentre il consigliare riguarda, di per sé, i mezzi utili al fine. Non a caso, nella tradizione monastica egiziana che poi si consolida in quella patristica e più recentemente nella tradizione ignaziana, il discernimento nasce dalla riflessione sui movimenti degli spiriti all’interno del cuore. Non tutto ciò che appare bene è da consigliare, ma occorre discernere, ponderare, perché ci sono le ispirazioni dello Spirito Santo e ci sono le mozioni dello spirito del male, della pigrizia, dell’ignavia, dell’indifferenza, dell’ambiguità, che si camuffano sempre con ispirazioni buone.

Possiamo dire che il discernimento è la prudenza applicata alla valutazione delle mozioni positive o negative, anzitutto interiori, e anche delle mozioni storiche, nella chiesa e nella società. Quanto della storia immediatamente successiva al Vaticano II è fatta di falsi o di troppo rapidi discernimenti, provenienti dal pensare che una certa iniziativa o un certo modo di agire fossero buoni, mentre, in realtà, hanno portato a conseguenze negative!

Il consigliare diventa così un discernimento molto delicato. Non è semplicemente un dedurre logico che si basa sulla considerazione del bene in assoluto, ma il riflettere sulle complessità e ambiguità storiche, sul misto di bene e di male, di ispirazioni buone e cattive, di strutture di grazia e di peccato che sono strettamente intricate le une nelle altre e tra le quali bisogna discernere la via giusta per ottenere la crescita della fede, speranza, carità.

CONSEGUENZE

Per il consigliare (e il consigliere) nella comunità, indico, tra le tante, quattro conseguenze.

  1. La prima la ricavo da ciò che san Tommaso dice sul rapporto tra prudenza, dono del consiglio, beatitudine della misericordia. A mio avviso, il consigliere nella chiesa deve avere la comprensione amorevole delle complessità della vita in genere e della vita ecclesiastica in specie. I consiglieri e i Consigli, rigidi, senza misericordia, anche magari sotto il pretesto evangelico – “Lo richiede il Vangelo, dunque bisogna farlo!” -, mancano di questa qualità fondamentale, che è la comprensione per la miseria umana, per la gradualità. Il consigliare non è un atto puramente intellettuale; è un atto misericordioso che tenta di guardare con amore l’estrema complessità delle situazioni umane concrete: parrocchie, decanati, chiesa, società civile, società economica. Dobbiamo certamente affermare l’esigenza evangelica, che però, se è tale, è sempre compassionevole, incoraggiante, buona, umile, umana, filantropica, paziente.

Questa caratteristica del consigliare non la troviamo così di frequente nella chiesa. Talora, al contrario, conosciamo forme di consigliare, o anche di decidere, che mancano del tocco di umanità tipico di Gesù. Gesù sapeva adattarsi con amore alle situazioni, sapeva cogliere il momento giusto.

Se c’è l’attitudine misericordiosa, si evitano i tanti pseudoconflitti dei consigli pastorali parrocchiali – perché a nulla vale il manto della giustizia se non è accompagnato dalla virtù della prudenza – e si fa progredire l’organismo ecclesiastico.

  1. Il consigliere nella comunità deve avere un grande senso del consiglio come dono. Essendo dono, va richiesto nella preghiera e non si può presumere di averlo. Essendo dono, dobbiamo avvicinarci ad esso con distacco, dal momento che non viene da noi ma ci è dato. Il consiglio non è un’arma di cui posso servirmi per mettere al muro altri; è un dono a servizio della comunità, è la misericordia dell’agire di Dio in me. Passa, è vero, per la mia razionalità – la prudenza è razionalità dell’agire -, però passa attraverso la mozione amorosa, rugiadosa, dello Spirito Santo, producendo sensibilità, fiducia, carità.
  2. Parlando della eubolia, o capacità di ben consigliare, san Tommaso afferma che il consigliare è il momento della indagine e della creatività. Bisogna istruire la causa non rapidamente, esprimendo il primo parere che affiora alla mente, bensì indagando sulle situazioni, condizioni, soluzioni già date in altri luoghi. La creatività e il gusto dell’indagine per l’istruzione della causa sono dunque caratteristiche del consigliare.

Parecchi dei nostri consigli pastorali parrocchiali sbagliano su questo punto: propongono un tema, chiedono il parere dei singoli membri, ciascuno dice la prima idea che gli viene in mente, e poi si vede la maggioranza.

“Istruire la causa” significa domandarsi: qual è il problema? Come lo comprendiamo? Come è stato risolto altrove? Nelle congregazioni romane, ad esempio, che sono organi consigliatori per eccellenza e che vantano una lunghissima tradizione di consiglio al Santo Padre, ogni causa si istruisce accuratamente attraverso la cosiddetta ponenza: vengono incaricate una o più persone di preparare un dossier che serve ad andare a fondo di ciò di cui si tratta – quali le soluzioni già date, quali le possibili, quali le ragioni pro e contro. Non dunque una semplice raccolta di pareri, ma una istruzione di causa, che richiede indagine e creatività.

  1. Infine, e concludo, vorrei sottolineare l’importanza della contemplazione del volto di Gesù e del volto della Chiesa a cui si tende. Se il decidere nella Chiesa ha lo scopo di configurare sempre meglio il volto del suo Signore, dobbiamo contemplare il volto di Gesù e poi regolarci in conseguenza per il consigliare. L’immagine fraterna di Chiesa è un riflesso del volto di Gesù, lo scopo di tutto il cammino ecclesiale. Costituire una comunione universale di fraternità che rifletta nel mondo il volto del Signore è ciò che ci spetta.