Noi verremo a lui

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Commento al Vangelo del 1 maggio 2016.

Nell’ultima cena con i suoi discepoli, poche ore prima della sua morte e della sua risurrezione, Gesù apre la profondità del suo cuore, offrendo a loro qualche scintilla di conoscenza del mistero della Trinità. Mentre dice ciò che il Padre e il Figlio e lo Spirito fanno per gli uomini, fa intuire il rapporto che c’è tra le Persone divine. Un mistero di amore, di comunione, di infinita sintonia: non ci sono incomprensioni, nè gelosie, nè zone riservate. Dalle parole di Gesù, si capisce che tutto è condiviso gioiosamente e serenamente, che nessuno tiene niente per sè. Gesù sottolinea che la sua Parola è quella del Padre. Lo Spirito non fa altro che ricordare la Parola del Figlio. Lo Spirito e il Figlio sono mandati dal Padre per la nostra consolazione (la paràclesi)…

A pensarci bene, è impressionante venire a sapere che quelle Tre Persone, così unite nell’amore da essere un unico Dio, si preoccupano per gli uomini, tanto da desiderare di «prendere dimora» presso ciascuna persona umana. È un Dio sempre in movimento. Il Dio che viene. Che viene ad amare. La pagina dell’Apocalisse che leggiamo oggi (Ap 21,10-14.22-23) ci fa vedere il desiderio, il sogno di Dio, nell’immagine della Gerusalemme celeste, una città splendida, come una «gemma preziosissima». Una città sicura («cinta da grandi e alte mura»), aperta a tutti i popoli del mondo («con dodici porte», tre per ogni punto cardinale), che non ha bisogno di luoghi di culto né della luce del sole e della luna, perché «la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello». Questa ricchezza simbolica allude alla umanità che si lascia rinnovare nella comunione con Dio: uomini e donne che vivono la sicurezza della presenza del Signore risorto, preparata dalla storia di Israele (sulle porte sono scritti «i nomi delle dodici tribù dei figli di Israele») e fondata sulla testimonianza degli apostoli (i loro nomi sono scritti nei dodici basamenti su cui poggia la città). Uomini e donne che si lasciano illuminare (cioè guidare) dallo Spirito di Dio per fare il bene, sempre. Uomini e donne che vedono faccia a faccia «il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello.

Gesù si rende conto dell’enormità di questa proposta d’amore che travolge l’uomo: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola». Sa chi ha di fronte: figli di Dio deboli e incostanti, seppur desiderosi di amare. Fratelli bisognosi della sua pace, cioè della sicurezza del perdono di Dio come segno della abbondanza dell’amore: «vi lascio la pace, vi do la mia pace». Il mondo non sa dare questa pace radicale, questa riconciliazione che ricrea nel profondo, questo perdono ad oltranza. Gesù è stato fedele a queste sue parole: il suo primo dono da risorto è stato proprio il dono della pace, e con quale insistenza (cf. Gv 20,19.20.26)!

Sa, Gesù, di avere di fronte dei figli di Dio duri di cuore, che hanno bisogno di essere rinnovati dall’interno. Finalmente si realizza quel che il Padre aveva promesso con il profeta Ezechiele: «Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi» (Ez 36,26-27). Lo Spirito del Padre e del Figlio è messo dentro al cuore di ciascuno, per essere il maestro interiore, che «insegna ogni cosa» e «ricorda tutto» ciò che ha detto Gesù.

Lo Spirito Santo (che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio, e con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato) è prima di tutto Colui che dal di dentro del cuore e dell’intelligenza dell’uomo suggerisce i pensieri e i sentimenti di Gesù. E lo fa sempre con grande delicatezza, in un lavorìo di ricerca della verità che la Chiesa ha sperimentato fin dagli inizi, a livello personale e comunitario. Il metodo degli apostoli per affrontare le questioni, che via via si presentavano nella vita comunitaria, era quello del dialogo e del consiglio, alla luce dello Spirito. Fino a dire, con sicurezza: «È parso bene, allo Spirito Santo e a noi…» (At 15,28). È una esperienza che continua nella nostra vita personale e nella nostra vita comunitaria. Una esperienza possibile, con gli strumenti che la Chiesa si è data per dare concretezza all’ascolto dello Spirito. È questo il senso degli organismi di partecipazione che ci apprestiamo a rinnovare. Il Consiglio pastorale parrocchiale e il Consiglio per gli affari economici sono i luoghi privilegiati in cui oggi possiamo dire: «È parso bene, allo Spirito Santo e a noi».