Commento al Vangelo del 10 aprile 2016.
Il meraviglioso racconto di Gv 21,1-19 risuona nella liturgia della terza domenica di Pasqua. Gesù risorto continua a farsi vedere per conquistarli con la forza del suo amore, con la sua pazienza educativa, con il suo grande desiderio di nutrirli con la sua Parola e il suo Corpo. Sulle rive del Lago di Tiberiade va in scena, in qualche modo, una celebrazione liturgica, che noi continuiamo a vivere nella S. Messa, come già era successo la sera di quel Primo Giorno ai discepoli di Emmaus.
La comunità (rappresentata nella sua pienezza dai sette apostoli che vanno a pescare) si riunisce e sperimenta la sua incapacità di vivere in pienezza: non pescano nulla, e il Signore li aiuta delicatamente ad ammettere questo loro fallimento («Figlioli, non avete nulla da mangiare?»). È quel che ammettiamo anche noi nell’atto penitenziale.
Anche prima di essere riconosciuto pienamente, Gesù pronuncia la sua parola autorevole ed efficace, che suggerisce sempre ai discepoli le cose giuste e buone da fare («Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete»): pazientemente e autorevolmente il Signore ci educa nella liturgia della Parola, ci dice dove gettare le reti, ci indica la via per una vita buona. L’efficacia della Parola è stupefacente, ed è motivo di riconoscimento del Signore risorto («È il Signore!» – dice stupito e gioioso il discepolo amato, aiutando Pietro a riconoscerlo a sua volta e letteralmente a buttarsi in acqua per raggiungerlo. Anche per noi è così: scommettendo sulla Parola piano piano ci accorgiamo che le proposte di Gesù fanno buona la nostra vita e ci convincono che davvero Lui è il risorto. E di questo dobbiamo parlare tra di noi: invece che far tante chiacchiere, condividere le nostre esperienze di fede e aiutarci a rafforzare la nostra fede!
La liturgia sulla riva del lago continua con la presentazione dei doni. Arrivati sulla spiaggia, i sette apostoli trovano già tutto pronto: «un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane». Che delicatezza, Gesù: ha già preparato da mangiare, ma invita i suoi a portare «un po’ del pesce che avete preso ora». Succede la stessa cosa quando, nella Messa, noi presentiamo il pane e il vino, «frutto della terra e del lavoro dell’uomo», segno di una vita che è dono e impegno, segno che vogliamo stare nella verità e quindi nell’umiltà. Offriamo ciò che abbiamo ricevuto, amiamo con le risorse e le energie che Dio ci ha donato e ci dona continuamente. Perchè Dio non vuole fare tutto da solo. Perché Dio vuole farci liberi e responsabili nell’amore. Perché Dio non ci tratta mai da burattini.
I gesti semplici di Gesù («Si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce») sono gli stessi dell’ultima cena. Sono gli stessi della nostra liturgia eucaristica, durante la quale, ogni volta, siamo anche noi nel Cenacolo, siamo a Emmaus, siamo sulla riva del lago. Dove il Signore Risorto ci raduna per nutrirci, per farci sperimentare la certezza della sua presenza e della sua offerta di amicizia radicale, fino a farsi mangiare. Dove il Signore Risorto ci provoca a rinnovare la nostra adesione a Lui, in un rapporto di amore intimo che non riguarda solo Pietro («Mi ami?»).
Chi sei, Gesù? Anche oggi alcuni versetti del libro dell’Apocalisse (5,11-14) ci fanno andare ancor più in profondità, mostrandoci l’enorme grandezza di quel Gesù risorto, che si è presentato con discrezione sulle rive del lago. La ‘rivelazione’ (apocalisse, appunto) giovannea ci racconta la visione di Dio Padre, seduto su un trono meraviglioso da cui scoppia ogni forma di bellezza e di vita (capitolo quarto) e la visione del Figlio di Dio, che sta in mezzo al trono con il Padre ed è l’unico che può aprire il libro che svela il senso della storia (capitolo quinto). Il Figlio ha questo diritto perché è «l’Agnello che è stato immolato». Il dono di Gesù nella morte nella risurrezione fanno di lui il più potente dell’universo. La sua affidabilità è fondata nell’esperienza d’amore radicale che ha sovvertito il corso degli eventi storici (questa è la vera catastrofe, il vero stravolgimento della storia, raccontato tante volte nel libro con i segni apocalittici). Non bisogna prendere alla leggera Gesù: è verissimo che lui si fa vivo con una delicatezza infinita, ma è altrettanto vero che non è un amicone da pacca sulla spalla. Sempre nella liturgia, noi ci associamo a tutta la corte celeste (gli anziani, gli angeli, i santi, gli esseri viventi) per dirgli che veramente è «degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione». Il testo continua dicendo che a questa lode si associano «tutte le creature nel cielo e sulla terra, sotto terra e nel mare, e tutti gli esseri che vi si trovavano». Questo non è ancora vero del tutto: ma la missione della Chiesa, di cui noi siamo protagonisti, consiste proprio nella espansione di questa lode all’interno della storia.