Esercizi spirituali: le Beatitudini

Seconda tappa degli esercizi spirituali predicati dal P. Tiziano Pegoraro.

Le beatitudini sono le prime parole di Gesù, un ‘ingresso’ nel discorso della montagna.

‘Beati’: una parola forte da parte di Colui che è luce e che parla nelle tenebre. La tenebra è la non-gioia, non-felicità, non pienezza di vita.

‘Beati’ non è nel senso declassato di ‘fortunati voi’, ma nel senso forte di ‘siate felici’.

Matteo presenta Gesù come colui che insegna, e costruisce il suo vangelo su cinque grandi discorsi: una sorta di nuovo Pentateuco, insegnato dal nuovo Mosè.

Gesù sale sul monte, come Mosè, maestro e guida del popolo: sta nella cattedra più alta. Sul monte Gesù prega, guarisce, porta vita a tutti.

Siate felici! La prima parola di Gesù prospetta una vita non lugubre o triste, ma piena di felicità e di gioia. La conversione è nella prospettiva di una felicità vera. E non c’è felicità senza questa conversione.

A chi parla Gesù?

Ai discepoli, guardando le folle. I primi destinatari sono i discepoli e poi anche le folle. I discepoli sono tra Gesù e le folle. È la prospettiva della Chiesa: Gesù al centro, i discepoli che stanno con lui e che trasmettono la Parola al mondo intero.

Quello delle beatitudini è un discorso esigente, che contrasta la mentalità mondana. Ma è un discorso per tutti! Non è riservato ad alcuni bravi discepoli. È l’unico discorso che Gesù rivolge davvero a tutti, una Parola che offre a tutti.

Le beatitudini non sono comandi legali, ma tratti della condivisione della vita di Gesù per i suoi discepoli! Non è possibile vivere le beatitudini se non all’interno della situazione del discepolo, della chiamata ad essere discepoli, della comunione con il maestro. Non dunque una prospettiva morale, ma una prospettiva esistenziale di persone che appartengono al maestro!

Matteo 5,1-12

1Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. 2Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:

3«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
4Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
5Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
6Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.

7Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
8Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
9Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
10Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.

11Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi.

Una specie di poesia, di due strofe: le prime quattro beatitudini, poi altre quattro, e la conclusione (11-12).

La prima parte è piuttosto riferita a situazioni specifiche di relazioni tra uomini, mentre la seconda è orientata alla relazione con Dio.

La prospettiva del ‘regno dei cieli’ è la chiave di lettura. Sia la prima che l’ultima contengono l’espressione ‘di essi è il regno dei cieli’. Non sono parole da prendere in senso sentimentale e nemmeno in forma sociologica, ma nella prospettiva del regno dei cieli! La povertà non è una beatitudine in sè, e nemmeno i poveri sono felici in se stessi (piuttosto hanno rabbia!). Coloro che ricevono il regno possono soffrire situazioni che sembrano difficili e tristi, ma sono momenti in cui essi sperimentano la gioia!

La vera gioia è entrare nel regno. La vera gioia è il regno stesso.

Poveri in spirito. Sono coloro che diventano poveri a causa dello Spirito! Coloro che per lo Spirito non hanno le ricchezze di cui gli altri si gloriano. Solo coloro che confidano in Dio, e non nelle ricchezze, nelle cose, negli apprezzamenti degli altri. Pongono la loro ricchezza in Dio. In Israele sono gli anawim, i poveri di Dio: persone concrete che vivono in modo differente. Persone che ponevano il riferimento della loro vita nella Legge di Dio, e non nel potere umano. Si pensi a Matteo, prima pubblicano inserito nel sistema di potere, e poi convertito a Gesù.

Di essi è il regno dei cieli. Il regno non è un territorio, ma l’autorità di Dio. Vivono all’interno dell’autorità di Dio, sono in comunione con lui.

Quelli che sono nel pianto, saranno consolati. Tranne la prima e l’ultima, le beatitudini sono al futuro: tutto è affidato a Dio, che compie la sua promessa, in tempi che noi non consociamo. Siamo affidati a Dio con speranza certa, sicuri del ‘dono’ della salvezza, che avverrà nel tempo che lui giudica opportuno.

‘Saranno consolati’ è un passivo teologico. Chi agisce è Dio!

Cf Ez: Dio manda un angelo per distruggere Gerusalemme, ma Dio dice di aspettare che l’angelo segni con il tau coloro che piangono e coloro che gemono. Sono coloro che non si conformano agli altri, che vedono al di là, che hanno desiderio di giustizia e di osservanza della legge, che hanno dei valori che non vedono realizzati.

‘coloro che sono nel pianto’ sono quelli che pensano ad un’altra realtà, conforme al disegni divini, ma non la vedono realizzata e per questo piangono. Costoro saranno consolati, perché Dio interverrà! Dio è il Signore che farà sì che la situazione nel mondo divenga conforme alla sua volontà si può dire che sono dei profeti!

Anche Gesù ha pianto sulla città di Gerusalemme perché non era conforma alla volontà di Dio, non ha riconosciuto il tempo della visita di Dio. Per questo sarà distrutta: non una distruzione di minaccia o di ripicca di Dio, ma come conseguenza del non aver colto la presenza di Dio che è vita.

I miti erediteranno la terra. Anzitutto c’è l’immagine di Gesù, che entra in Gerusalemme come un re umile. E dice in 11,28 dice ‘venite a me che sono mite e umile di cuore’. Il mite è colui che vive senza usare la violenza, e confida in Dio.

I miti sono gli uomini ‘giusti’, obbedienti a Dio e alla sua giustizia. I miti non sono persone rassegnate o deboli: affrontano le difficoltà con forza, sapendo che sono con il Signore, l’unico che può far fronte a tutte le difficoltà.

La terra è quella di Israele, promessa da Dio al suo popolo. Vi entreranno solo i miti! Nemmeno Mosè e quelli che erano usciti dall’Egitto sono rimasti nel deserto, a causa della disobbedienza per la quale hanno contestato Dio. Hanno ereditato la terra coloro che hanno confidato in Dio e non hanno contestato il suo piano.

La terra è lo spazio di libertà di Dio e del suo popolo: laddove Dio opera e il popolo lo lascia operare in un rapporto di concordia.

Israele riconosce che l’esilio, l’allontanamento dalla terra, è causato dal peccato, dalla disobbedienza.

I miti non sono dunque persone flosce o molli, ma che reagiscono secondo verità.

Quelli che hanno fame e sete di giustizia saranno saziati. Hanno fame e sete che Dio si manifesti e agiscano secondo la volontà di Dio: sono i santi, o coloro che aspirano alla santità e cercano la giustizia/volontà di Dio. Vogliono conformarsi a Dio e fare in modo che egli sia all’interno delle nostre relazioni e del nostro mondo. Hanno desiderio profondo che Dio agisca e desiderio di conformarsi alla sua azione.

I misericordiosi troveranno misericordia. Dobbiamo essere misericordiosi perché abbiamo avuto esperienza della misericordia. La misericordia non parte da me: l’ho ricevuta come dono e quindi la devo dare. Vedi la parabola del servo malvagio in Mt 18,21-35. Si parla anzitutto della misericordia del re («Impietositosi del servo…») come di quel muoversi gratuito e viscerale verso la persona che è oggetto di misericordia: è la misericordia senza ragione, senza motivo, completamente gratuita. È il termine che descrive il cuore del padre misericordioso, il cuore del buon samaritano, il cuore di Gesù che vede le folle. Poi, quando il re parla con il servo malvagio, si usa il termine che ricorre anche qui belle beatitudini: «Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?». È il termine che indica la misericordia in quanto ricevuta, sperimentata, e che diventa a sua volta fonte di atteggiamento misericordioso verso gli altri.

I puri di cuore vedranno Dio. Segno di equilibrio tra spirito e carne dell’essere umano: dove c’è la sapienza/intelligenza, ma anche il desiderio di vivere concretamente alla presenza di Dio. (cf il sal 23). Il cuore puro è retta intenzione di vedere Dio, di incontrare Dio per muovere la volontà. Questa infatti è sempre mossa da un precedente impulso, che è puro quando è conforme alla volontà di Dio. Chi cerca e vive questo equilibrio vive davvero alla presenza del Signore e vede il Signore.

Tutto dipende da ciò che noi vediamo e decidiamo di vedere! Se viene uno a chiedere l’elemosina posso vedervi uno scocciatore o un fratello… e le conseguenze sono diverse…

Gli operatori di pace saranno chiamati figli di Dio. Coloro che operano per porre la pace che Gesù ci ha acquistato, abbattendo il muro di separazione, con il dono di sè: con il suo sangue ha fatto pace fra cielo e terra. Gli operatori di pace sono coloro che donano se stessi, che perdonano, e non solo quelli che organizzano strutture o cose.

Beati perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Qui si parla propriamente del vangelo. La giustizia è il vangelo, l’insegnamento di Gesù, ricevuto e attuato. Chi non si conforma alla moda culturale, ma segue il comportamento di Gesù è un vero discepolo, che incorre nella persecuzione.

Questo discorso non è elitario: è possibile a tutti! Questi sono i ‘sentieri’ che portano alla felicità. Possiamo porci alcune domande:

– Siamo contenti di essere cristiani? Abbiamo esperienza di essere felici come cristiani?
– Abbiamo la pazienza di attendere la felicità, di vivere l’attesa nella fiducia in Dio che realizzerà le sue promesse?